Nel contesto edilizio ed urbanistico di Venezia il concetto di riconversione di area dismessa appare assolutamente riduttivo. La trasformazione della realtà veneziana necessita infatti di tecniche progettuali articolate.
In questo ambito riconnettere l’area dell’ex Junghans al tessuto urbano della Giudecca, ha significato la realizzazione di interventi graduali tra “trasformazione totale” e semplice “ricucitura” attraverso la manipolazione di un linguaggio allusivo alla “veneziatà”. Il problema del rapporto con il contesto, alle diverse scale, è stato affrontato e risolto tramite la correzione ed estensione del tessuto urbano e la ricerca di un particolare carattere per ciascun edificio, teso tra modernità e pittoresco.
Per lungo tempo il rapporto tra Venezia e il moderno è stato caratterizzato dal tentativo di omologare la città secondo i processi che tra ottocento e novecento avevano riconfigurato le città del mondo occidentale. Tale procedimento di normalizzazione ha determinato una serie di vuoti indelicati da sempre oggetto di discussione sui piani regolatori di Venezia.
Al tempo stesso Venezia ha rifiutato gli straordinari tentativi di alcuni grandi maestri del novecento di interpretare, in formula moderna, i peculiari caratteri della città, con estrema semplicità e sensibilità. Si ricordano i casi della Fondazione Masieri sul Canal Grande, per la quale fu rifiutato il progetto di Frank Lloyd Wright nel 1953, il nuovo ospedale progettato da Le Corbusier a Cannaregio nel 1963, anche in questo caso il rifiuto netto del progetto, così come per Louis I. Kahn nel 1969 con il progetto del Palazzo dei Congressi ai Giardini della Biennale.
In questa prospettiva la riprogettazione delle aree periferiche di Venezia ha assunto nel tempo un’importanza crescente quale tentativo di ricomporre in stile contemporaneo la struttura morfologica e tipologica della città lagunare esaltando la peculiarità dei singoli luoghi e ricercando il senso della struttura urbana nelle differenze e nella discontinuità.
L’intervento nell’area dell’ex Junghans ha cercato di esaltare le potenzialità residenziali di questa parte dell’isola della Giudecca, recuperando un’identità attraverso un disegno articolato ed eterogeneo che ridefinisca nuovi rapporti con la città e con la laguna, superando il senso di estraneità conferito dalla destinazione industriale. Diversamente dagli interventi degli anni ottanta, la varietà, derivata dal fatto che la progettazione dei singoli edifici è stata affidata ad architetti diversi, si unisce alla ricerca di continuità con lo spazio urbano veneziano, suggerita dal sistema degli spazi aperti, delle calli, dei campi e dal rapporto con i canali, l’acqua e con i piccoli giardini privati.
Gli edifici ricercano ciascuno un proprio carattere con costante riferimento ad una venezianità filtrata visibile non tanto nei contenuti quanto nell’immagine dei fabbricati: forometria, camini, altane, rivestimenti e cornici.
In questo ambito urbano riprogettato, l’edificio denominato “E8” propone una soluzione progettuale in cui l’analisi degli elementi costruttivi veneziani e la loro sintesi ha portato alla realizzazione di un edificio fatto di frammenti di venezianità, di parti singolarmente apprezzabili, che acquistano pieno significato all’interno di una visione globale in cui l’articolazione dei prospetti riflette quella degli spazi interni.
L’edificio si compone di 18 unità residenziali, quelle del piano terra direttamente accessibili attraverso i giardini privati, ai piani superiori organizzate attorno a due corpi scala.
Proprio con riferimento alla tradizione edilizia veneziana sono state differenziate le altezze interne in modo da ottenere una sorta di piano nobile, qualificato dalla gerarchia della forometria e dai materiali che caratterizzano il prospetto.
La composizione in pianta rivela l’organizzazione spaziale delle unità secondo una strategia di incastri in cui i singoli appartamenti si compongono di locali disposti su un numero variabile di livelli, dando vita ad un’articolazione propria dell’architettura della città lagunare, in cui il carattere dell’abitato deriva appunto dalla sua individualità e personalizzazione. Riportato all’utilizzo dell’abitare contemporaneo, il progetto enfatizza inoltre un concetto di umanizzazione degli spazi domestici che non vuole sacrificare la serenità del risiedere alle logiche dell’estetica degli spazi.
I materiali infine enfatizzano il carattere delle facciate, tramite un uso generoso del rivestimento in pietra in corrispondenza del prospetto verso l’acqua, riducendosi a semplice abbassamento nelle altre facciate e riproponendo una subordinazione tipia della Venezia minore, in cui il rapporto con l’acqua aveva priorità.